Milano, Fuorisalone, tra raffinatezza delle nostre arti applicate e contrasti 

Come ogni anno e come quasi tutti i milanesi, ho fatto un giretto per il Fuorisalone. Quest’anno però ho deciso di evitare volontariamente i posti più di punta e concentrarmi nello scoprire piccole realtà nascoste.

Preferisco parlare di arti applicate che di artigianato, quando mi riferisco al Made In Italy: “artigianato” è un grande calderone che fa quasi perdere il senso dell’artisticità, della raffinatezza  e dell’ingegno incisi nel nostro DNA, “arti applicate” gli restituisce il suo sapore più vero e profondo. E di arti applicate, quest’anno, ne ho viste di meravigliose.

A cominciare da un cortile nascosto in Via Durini, in cui l’azienda Artèpura (https://www.artepura.design/chi-siamo/), mi ha stupita con i giochi di rivestimenti in pelle di superfici lavorate. Immaginatevi un’ape grandissima, intarsiata, dal colore oro, tanto che sembra realizzata in metallo oppure in legno verniciato… e invece è creata con ritagli di pellame. Spettacolo! 

Poi, in Via della Spiga, mi sono rifatta gli occhi con gli splendidi gioielli in micromosaico della ditta Sicis (https://www.sicis.com/IT/it/sicis-jewels), e la testa mi è girata per la bellezza. Che raffinatezza e che gusto! Sono rimasta infinitamente felice dal constatare che una tecnica così preziosa e antica ha trovato un’applicazione degna dell’arte di chi la pratica, e di accorgermi che finalmente possiamo parlare di recupero del passato per traghettarlo verso il nuovo anche in questo campo. 

Ho visto intarsi lignei che sono vere opere d’arte, mobili rivestiti in cuoio che dimostrano quanto siano artisti coloro che li progettano, creano, realizzano… 

La ricercatezza, la sapienza, la tecnica e la passione italiane meritano tutto questo, meritano elogi e meritano di entrare a far parte del mondo del lusso ed ultra lusso, perché sono degne di palazzi e dimore da favola moderna. Il design accoglie e integra ciò che di più prezioso abbiamo, il risultato è strepitoso.

Aggiungo anche che molte iniziative “Green” di recupero di materiali sono proprio quelle che aiutano, sostengono e traghettano i saperi del passato verso il futuro. È grazie ad opere come quelle di Takafumi Mochizuki, giunto a Firenze dal Giappone per imparare l’intarsio, e al recupero di vecchi oggetti di legno, che nascono oggetti d’arte in grado di parlare alle generazioni future e di trasmettere tecniche che forse sarebbero destinate a perdersi nella nostra era tecnologica. 

Ho visto mondi sospesi nella dolcezza dell’ozio di una veranda immersa in un verde calmo e quasi inimmaginabile nella metropoli lombarda… Tutto era immensamente onirico e Bello. Finalmente. 

Accanto a questo, però, ho visto anche un altro mondo, e non ho potuto fare a meno di elaborare una riflessione.

Uomini e donne, dormono sotto i portici, nella povertà, alcuni anche nella miseria e nella sporcizia. Alcuni di loro ci vogliono rimanere, altri ci sono arrivati, moniti in carne e ossa di qualcosa che potrebbe succedere a chiunque. Dormono, mangiano, aspettano, vivono, chiedono, nel via vai indisturbato del popolo del Fuorisalone. 

Lungi da me condannare l’arte, il Bello, e tutto quello di cui ho scritto qui sopra. Lungi da me anche condannare chi paga persone che creano oggetti d’arte il cui valore è infinito ed inestimabile per arricchire i propri ambienti; e ovviamente lungi da me condannare chi l’arte la fa perché ci crede con tutto il cuore, faccio parte di quest’ultima categoria. L’arte è fondamentale per arricchire l’anima anche sotto forma di un mobile, o applicata ad un gioiello degno di una regina; ma da questo arricchimento dovrebbe scaturire una sensibilità che non può fare a meno di voltarsi anche verso chi è meno fortunato. Perché una giovane donna di meno di trent’anni può vestirsi di abiti “cuciti dalle fate” senza nessun senso di gratitudine? La gratitudine verso l’atro, che sia la vita, Dio, i propri genitori, le persone che hanno lavorato per te, è la molla fondamentale per combattere la vanificazione delle arti e il ridurle a semplici “cose”. Se la giovane donna fosse grata per il suo vestito, troverebbe la sensibilità di girarsi verso quella persona che si rannicchia in un angolo. Forse. Credo. A dire il vero non lo so con certezza.

La giovane donna, non conosce il mondo di durezza e l’uomo della strada non conosce il mondo del lusso. Due mondi che si ignorano, ma le strade di Milano sono le stesse per entrambi, stesso asfalto, stessi marciapiedi. Chi può unirli se non l’arte? E in che modo? Ripeto, trovo sacrosanto che l’arte sia amata e acquistata da chi se la può permettere, ma forse, noi artisti, potremmo trovare la soluzione per essere di entrambi i mondi. Non so quale sia la soluzione ad un problema così spinoso che può essere considerato sul filo della retorica; ma se è vero che per andare avanti bisogna anche guardare la strada che si è fatta, l’ispirazione può venirci dal passato.

Nel medioevo (e non solo) il “ricco” commissionava opere d’arte, alcune le teneva per sé, per uso privato, altre faceva in modo che potessero essere di arricchimento spirituale anche per chi non poteva possederle (che questo fosse legato ad un desiderio di ostentazione è un altra storia). Gli affreschi delle chiese insegnavano le storie della Bibbia e del Vangelo a chi non sapeva leggere, e colori, espressioni e gesti dipinti, parlavano a tutti, ma proprio a tutti, dal nobile al mugnaio, dal servo al padrone.

É mio pensiero da anni che l’arte (in questo caso specifico anche applicata) non sia più per tutti, purtroppo. Se siete curiosi, ne ho scritto anche sul mio blog (giulia.calvanese5.com). 

Solo gli artisti possono ridonare all’arte la dote di abbracciare il cuore di tutti a prescindere dalle condizioni sociali, con una soluzione moderna e contemporanea.

Giulia Calvanese per Radio Bla Bla Network News