L’arte è una magia. Con queste parole fiabesche voglio dire che l’arte è in grado di compiere quello che di fatto non è realizzabile dall’essere umano: viaggi nel tempo, sublimazioni, accordi universali, mescolanze in continua fusione, dialoghi attraverso millenni di storia, espressioni intime  difficilmente descrivibili attraverso la parola, rivolte e al tempo stesso pacificazioni… il colore, in questo caso sembra accompagnare questi “incantesimi artistici”.

Da quasi 140 anni il Palazzo della Permanente di Milano è luogo di espressione artistica e di esposizione di artisti contemporanei e del passato. La Società per le Belle Arti ed Esposizione della Permanente, di cui il Palazzo è sede, ha radici ancor più lontane, nata dall’unione di due società preesistenti nel 1886, anno in cui Re Umberto I le conferisce il titolo di Ente Morale.

Quest’anno, la mostra degli artisti soci lascia ampio spazio espressivo ai creatori, e così si intessono dialoghi, si salta da una tecnica all’altra, da colori vivaci a sfumature tenui, da scultura a pittura passando dalla fotografia e da tecniche di stampa applicate all’arte. Un viaggio mirabolante, una magia per l’appunto. Citare tutti i 130 artisti presenti in un breve articolo è per me impossibile. Posso raccontarvi di alcuni di loro, che mi hanno colpita con la mia intima sensibilità, ma invito chiunque mi legga a fare il proprio viaggio personale, labbandonandosi all’incantesimo dell’arte in modo del tutto unico, come ognuno di noi è unico ed irripetibile.

Un suono lontano, arcaico, mi cattura, sembra l’ouverture di un’opera mistica senza tempo, eterna: è il Suonatore di aulos di Giacinto Bosco, che si staglia sulla colonna della creazione catturando gli animi con la sua narrazione. L’eco antico mi fa entrare in una storia fatta di opere e visioni artistiche. Davanti a me si apre La culla della luce di Emanuela Franchin, un mondo ignoto ma attraente, i cui colori mi spingono dolcemente ad inoltrarmi e perdermi in un sogno luminoso. La profondità dell’anima, il suo cielo blu riflettente, si svela davanti ai miei occhi: Oltre la tela 6, Isa Locatelli, me lo mostra, mi invita ad andare ancora oltre guardando nello Specchio dell’anima di Mariano Vasselai, della mia anima. Vi trovo il seme dell’oro spirituale, oro alchemico, sublimazione non ancora avvenuta ma potenziale, nascosta tra le mie pareti di legno, materia viva che si dischiude. Mi volgo a riflettere su quanto il tempo scorra velocemente nella nostra società e cultura, mi lascia raramente il respiro per entrare così profondamente nella mi interiorità: Tempus fugit di Antonio Devincenzi. Nella mia vita corro, come l’Atalanta di Lionella Volontè, ma questa volta, anche io mi lascio distrarre e m’innamoro di quello che sto vivendo qui e ora, di quella mela primordiale che mi chiama a sé e mi fa fermare, immanente ad osservare, trascinata dall’esempio dell’Imperatrice d’Oriente di Orazio Barbagallo. Mi soffermo, osservo, dialogo con lei sull’eterno processo di rinascita dei fiori di Sakura di Kazuto Takegami. Mi stupisco di come due tecniche così diverse, due culture, possano fondersi nel tutto dell’opera, in perpetuo dialogo, in continua e vicendevole esaltazione dell’altro. È Caterina di Yaya Frigerio che me lo sussurra, spingendomi a trovare il messaggio universale delle piccole cose, forse le uniche tanto forti e potenti da poter contenere e tramandare l’essenzialità della vita. Quell’essenzialità che scorre sotto la superficie, Under the surface di Erika Bellanca. Siamo fatti di acqua e casualità incredibili, trasparenti e leggere; profondità di un mare Senza Titolo di Levijana Bjelan. Siamo come una cascata che cerca di ricomporsi, dando un senso a tutte le sue parti, una Broken Nature di Nadia Tognazzo, un continuo divenire. Siamo contenitori del nostro tutto, del nostro infinito. Infinito mare che a volte affronta burrasche o una Tempesta in un bicchier d’acqua di Roberta Rossi. Le onde ci travolgono interiormente, sembrano piccole di fronte ai problemi più ampi del mondo, eppure ne sono il riflesso. Con la tempesta, la guerra rompe gli equilibri, è caos, War di Edy Persichelli, tecniche diverse che si intrecciano in un vociare informe, lamenti, disaccordi ben lontani dalla pacifica e serena convivenza di Sakura. L’equilibrio è rotto, restano le macerie di un mondo che era stato e  che cerca in sé stesso la forza di anelare al cielo. Stratificazioni in una Sovrapposizione infinita nel finito di Yang Sil Lee. Mondo finito, straziato, che dai suoi elementi materiali e terreni cerca di risorgere, elevarsi nuovamente, con un vuoto interno tutto da riempire. Chi potrà farlo? Forse un uomo appeso ad una croce in mezzo alla furia rossa del mondo, il Crocifisso di Alfredo Mazzotta, bandiera bianca di pace, che si staglia nella confusione? Pace Pace Pace, urla Pino di Gennaro, una pace che porta il ricordo delle lacerazioni passate nei suoi colori plasmati come tagli, fratture. L’unione dei colori ancora divisi ma che si muovono all’unisono, porta al bianco, alla luce pura di Rita Bertecchi che mi dice Ti vorrei regalare il Paradiso, bianco, puro, incontaminato, sotto questa scorza ancora aspra e limitata. Un fiore dorato allora si staglia, fatto di luce spirituale, di rinnovata grazia, il Papavero di Anna Francesca Gutris: un sogno di pace che si fa realtà nel buio del mondo addormentato, la rinascita dopo la morte. Ora capisco che tutto ciò è possibile se nasce da un Abbraccio, di Angela Maria Capozzi, due elementi terreni che di incontrano e si stringono l’un l’altro per diventare una cosa sola mantenendosi distinti. Quest’opera è un dialogo lontano col Bacio di Brancusi, ma più essenziale, più materico, una materia che sempre tende allo slancio verticale per raggiungere il Cielo, là dove risiede l’arte in persona, Colui che crea.

Questo è stato il mio viaggio nel salone del Palazzo della Permanente, quale sarà il vostro? 

Giulia Calvanese per Radio Bla Bla Network News