Non è la solita cartolina proveniente da Napoli. E’ tutto il contrario.

Ma anche qui, non è la solita storia sulla #dark_side del capoluogo campano. Il lato oscuro c’è in tutta la sua interezza. Non manca il disagio, non manca la povertà, non manca nemmeno la filosofia degli espedienti e dell’arrovellarsi in qualche modo per sbarcare il lunario, e per di più solo parzialmente.

“In un mare senza blu” partiva quindi da premesse che potevano far presagire ad un plot assolutamente prevedibile negli esiti.

Colpisce invece un dettaglio ricorrente. Così ricorrente da diventare un denominatore comune di tutte le pagine, un filo rosso che corre lungo tutta la trama.

In un continuo di violenze fisiche e mentali, in un regno di prevaricazioni, in un microuniverso diviso quasi manicheisticamente tra oppressori ed oppressi, ecco che traspare un velo di #poesia che nel corso della trama si fa progressivamente più concreto.

L’immagine della plastilina, alcuni specifici gesti, così come alcuni sguardi (ma non solo questo) costituiscono il tessuto per la costruzione di alcuni sentimenti profondi che si collocano al di sopra della mera quotidianità. E si rivelano pure utili per resistere in quel #mare_magnum di brutture a cui costringe una vita da emarginati o una vita da clandestini.

I capitoli sono pezzi di collage. Da soli hanno un significato; messi insieme ne hanno un altro di più ampio respiro, più colorato e forse anche più caloroso.

Non credo che qualcuno ci abbia mai pensato ma in questo tipo di contesto partenopeo i personaggi sono come quelle forme di pane di una volta. All’esterno, quando si rapportano con il mondo, devono presentare una crosta difficile da scalfire e da spezzare. Dentro, però, ma pochi sono a conoscenza di questo, risultano caratterizzati da una mollica morbida molto gradevole al gusto.

Non so quanto sia stata voluta la scelta editoriale di giustificare tutto il testo a sinistra. Sta di fatto che anche questa #trovata, per il mio gusto, contribuisce a trasformare le righe del romanzo alla stregua di versi di un componimento, in questo caso di un poema epico.

E tu che leggi, se ti chiedi che tipo di #poesia si evince dal contesto, un po’ ti dico che sbagli domanda, un po’ ti dico che non c’è bisogno di etichettarla.

Ti dico solo che, con un finale tra il lirico e il rarefatto, ti arriverà la #poesia più grande, cioè quella che con difficoltà si riesce a verbalizzare e a spiegare.

Lo capisci che è grande, questa poesia, perché mentre leggi ti crea un fermento inspiegabile…

Enrico Redaelli – RADIOBLABLANETWORK NEWS