Inutile dire che, quando si parla di Milano, il mio senso di coinvolgimento cresce a dismisura.

Leggendo questo libro mi è tornato alla mente il periodo delle superiori, momento nel quale ho “scoperto” la metropolitana della mia città. Era un mondo parallelo, un universo a volte surreale dove si alternavano sovrumani silenzi (cit.) a momenti particolarmente fragorosi. Erano luoghi vissuti anche da personaggi che sembravano nati e cresciuti in mezzo a quei sotterranei così oscuri.

Parlo di queste sensazioni perché il libro di esordio di Argirò me le ha rispolverate fuori. Ho rivisto in questo libro anche quelle immagini percepite in tempi successivi, quei momenti contrastanti di solitudine in mezzo alla gente così come di coesione totale, pur stando in mezzo a persone totalmente estranee.

La scrittura del libro è molto particolare e definita #stereo dallo stesso Argirò. La pagina è divisa in tre colonne e in una sorta di sinossi, a fianco della colonna centrale dove si dipana la narrazione principale, è possibile osservare ai due lati quelle suggestioni che su carta sono assolutamente verosimili. Mentre sei in viaggio, il pensiero dominante ti percorre la mente quando ad esso si possono agganciare distrazioni accidentali come un annuncio dall’altoparlante o una qualsiasi cosa che può accadere ad un altro passeggero nelle vicinanze.

Ogni capitolo è il nome di una fermata. Il romanzo di Argirò è quindi leggibile su più piani. Una lettura #micro, circoscritta a quanto accade in quella specifica stazione sotterranea. Una lettura #macro, nella quale ogni singola sezione si può sommare a quella successiva per creare un impianto di più ampio respiro.

La soluzione adottata da Argirò approda ad esiti importanti, come ad esempio il prolungamento di una visione futurista della quotidianità con l’onomatopea di certi suoni che cadenzano i singoli momenti della giornata. Delimitandosi gli spazi di scrittura, Argirò sembrerebbe complicarsi la vita nel momento in cui racconta il divenire della sua trama. Se apparentemente la sua prosa può sembrare #claustrofobizzata (scusare questo terribile neologismo) dalla struttura, ecco che questa restrizione diventa anche un notevole punto di forza perché si trasforma in una nuova forma di poesia, in una nuova forma di lirismo.

E seppure la voce narrante si districa attraverso labirinti situati sottoterra, si vola…

Enrico Redaelli – RADIOBLABLANETWORK NEWS