Quando nella narrativa si percorre la strada seriale, il rischio è quello di ripetersi, di raccontarsi di aver trovato qualcosa di nuovo quando invece si tratta solo di un fumo particolarmente colorato.
Giunto al sesto romanzo della sua saga sulla magliaia Delia, Biagini è secondo me a distanze siderali dal temere questo pericolo, grazie anche, in questa occasione, alla presenza dell’elemento rievocativo che qui è giocato senza l’intento di vincere facile.
Tutto nasce dalla coincidenza di due delitti che si sono perpetrati nello stesso giorno ma a distanza di quasi ottant’anni. Ed ecco le magie #alla_Biagini che si fanno strada rendendo preziose le pagine che si stanno leggendo. Il presente narrativo viene alternato con il ricordo di un efferato e purtroppo celebre pluriomicidio, avvenuto nel 1946 per mano di Rina Fort ai danni della sua rivale in amore e dei suoi figli. Solo che le parole, le atmosfere di questo flashback arrivano filtrate attraverso la memoria di Dino Buzzati, scrittore assai caro a Biagini, che ai tempi ebbe l’incarico di seguire l’evolversi del caso per conto del Corriere della Sera.
I passaggi da un’epoca all’altra sono contrassegnati da dissolvenze graduali che non creano #spaccature o #aritmie nella lettura della vicenda. Anche perché viene rispettata un’importante unità di luogo che è Porta Venezia, sia per il crimine di oggi sia per quello di ieri.
Delia è sempre al centro di questo microuniverso di quartiere; Masini, suo fedele scudiero, le è sempre al suo fianco. In tutto questo, Biagini si permette due #lussi.
Da un lato mette un po’ di se stesso nel personaggio di Mirco Male, persona reale che in questa #fiction si presenta come scrittore di gialli; dall’altro crea un po’ di vicissitudini attorno a Buzzati indagando sul suo stato d’animo proprio nel periodo in cui doveva seguire il caso Fort.
Non si tratta di una storia scritta per puro esercizio di stile. Come sempre, l’autore di Delia gestisce bene i suoi meccanismi non lasciando proprio nulla al caso, è proprio il caso di dirlo.
Ancora una volta, Biagini cala i suoi carichi da dieci (Porta Venezia e l’umanità che la popola) se non addirittura il suo asso migliore (Dino Buzzati, di cui si è già detto) per vincere in scioltezza la sua partita.
L’impressione è quella che il nostro autore in questa occasione si sia divertito più di altre volte, tenendo fede al suo stile casereccio (nella migliore delle accezioni, ndr) e al suo tono mai sopra le righe.
Enrico Redaelli – RADIOBLABLANETWORK NEWS