Spietato, veloce e risoluto: esattamente ciò che un thriller dovrebbe essere (Lee Child)
Sono queste le parole dello scrittore britannico di thriller Lee Child, pseudonimo di James Dover Grant, sul romanzo d’esordio The Grey Man di Mark Greaney. Il primo della serie dedicata all’ex agente della CIA Court Gentry alias Sierra Six soprannominato “L’Uomo Grigio”. E si potrebbe parlare bene del romanzo, con una trama avvincente e una scrittura limpida e scorrevole che attende di svelare la verità mediante il passato scioccante del suo personaggio. Un mercenario addestrato a sparire nel nulla dopo aver compiuto il suo lavoro.
Ma questo è il romanzo. Peccato che la pellicola più costosa della storia di Netflix ‒ ben 200 milioni di dollari ‒ si camuffa da tripudio di sapori salati, senza quel dulcis in fundo che delizia il palato cinefilo con il colpo di scena. Pura delusione, che non edulcora un sublime capolavoro che forse pensava di mettere piede dentro la storia del cinema con la nota dicitura “film dell’anno”.
E invece, i due famigerati registi dei quattro film del Marvel Cinematic Universe Anthony e Joe Russo (Captain America: The Winter Soldier, Captain American: Civil War, Avengers: Infinity War e Avengers: Endgame) inquadrano una storia risaputa, insipida, a cui manca quel tocco di pepe in più che un thriller di questo genere ha bisogno.
Armi costruite come fossero granate con i pochi oggetti sparsi qua e là. Trovate geniali che innescano la salvezza di Sierra Six (Ryan Gosling), protagonista assoluto che sopravvive glorioso come Achille (Brad Pitt) nel film Troy di Wolfgang Petersen. L’ex agente della CIA dipinto, nelle azioni e reazioni, a immagine e somiglianza della spia russa Evelyn Salt (Angelina Jolie) nel film Salt diretto da Phillip Noyce. Scene di lotta corpo a corpo ben assemblate che mettono in scena la bravura delle spie e degli agenti dei servizi segreti. Molto simili ‒ e visibili ‒ ai duri allenamenti a cui si sottopone Charlize Theron in Atomica Bionda di David Leitch. La morte che schiva la vita del The Grey Man che inspiegabilmente (ri)trova la forza di combattere tra ferite sanguinose profonde e pesanti traumi infantili. E riprese dinamiche girate con i droni che schiacciano l’occhiolino al recente e controverso Ambulance diretto da Michael Bay. Un abusato dinamismo ansiogeno che volentieri poteva essere evitato.
The Gray Man si traveste da pellicola “copia e incolla” di altre, con artifizi cinematografici che tutti gli spettatori conoscono fin troppo bene. Assaporati nel loro lento “visto e rivisto”. Senza assaggio di novità, persistente nel suo proiettare un action movie in cui il Bene vince sempre sul Male. Secondo le classiche regole di un thriller americano che ahimè non lascia intravedere un margine di coinvolgimento emotivo. E con uno script debole, incoerente e con battute che lasciano il tempo che trovano. E Ana de Armas (Dani Miranda), Chris Evans (Lloyd Hansen) e Regé-Jean Page (Denny Carmichael), nei consueti ruoli della “bella che salva il dannato” e “i cattivi” che le tentano tutte per ostacolare il protagonista, recitano indisturbati la loro parte, senza osare. Come da copione.
Solo Ryan Gosling, con tanta massa muscolare, l’aria da duro e il cuore d’oro, riesce a condurre bene il gioco che vede all’orizzonte un secondo round. E magari il futuro budget alle stelle sarà speso meglio.
VOTO: 4
Martina Corvaia – RADIO BLABLA NETWORK NEWS