Lunedì 24 marzo, al Teatro Carcano di Milano, Gabriella Greison ha portato in scena l’ultima tappa del tour del suo spettacolo La donna della bomba atomica, dedicato alla straordinaria figura di Leona Woods. Fisica americana e giovanissima collaboratrice del Progetto Manhattan, Leona Woods contribuì alla costruzione della prima bomba atomica, lavorando fianco a fianco con scienziati illustri come Robert Oppenheimer ed Enrico Fermi. Eppure, nonostante il ruolo cruciale che ebbe in uno degli episodi più drammatici della storia contemporanea, il suo nome è stato quasi completamente cancellato dai libri di storia.
La Greison, ispirandosi al suo romanzo omonimo pubblicato da Mondadori, ha deciso di riportare in vita questa figura dimenticata, narrandone la vicenda sul palco. Il suo spettacolo non si limita a ripercorrere i fatti scientifici legati al Progetto Manhattan, ma restituisce umanità, emozioni e coraggio a una protagonista ingiustamente trascurata. Leona Woods sfidò infatti i limiti imposti alle donne nella scienza del suo tempo, entrando a far parte di un’impresa che avrebbe cambiato per sempre il corso della storia.
Con la regia di Alessio Tagliento, le musiche inedite di Francesco Baccini e la produzione dell’Associazione Paul Dirac, La donna della bomba atomica diventa un racconto suggestivo in cui realtà e immaginazione si fondono, creando un’atmosfera unica. Il pubblico si ritrova così immerso in un lungo viaggio interiore, tra momenti elettrizzanti e fasi deliranti che rievocano la tensione vissuta all’interno del Progetto Manhattan.
La narrazione porta inevitabilmente alla riflessione sulle conseguenze di quel progetto: la bomba atomica e la devastazione di Hiroshima e Nagasaki. Il percorso emotivo si alterna tra l’esaltazione scientifica e il peso della consapevolezza, fino a un momento di profondo sconforto, quando emerge l’impossibilità di tornare indietro. In questo viaggio teatrale, Gabriella Greison riesce a coinvolgere e far riflettere, trasformando la storia di Leona Woods in uno strumento di riscatto e memoria, e restituendo voce a chi, troppo a lungo, è rimasto in silenzio.
A chiudere il cerchio, come un ritornello ossessivo, la frase emblematica: “Chi sono io? Mi chiamo Leona Woods, ho fatto le stesse cose che faceva Enrico Fermi, ma con 19 anni di meno, e incinta”. Parole che diventano un manifesto di denuncia e di affermazione personale, un atto di ribellione contro l’oblio storico e culturale. Leona Woods rivendica la propria identità e il proprio valore, invitando il pubblico a riflettere sulle disparità di genere nella scienza e sull’urgenza di riscrivere una storia più inclusiva, in cui anche le voci dimenticate possano finalmente essere ascoltate.
Roberta Ferrara – BLABLANETWORK NEWS