Un libro che Zanarella (nota poetessa, al suo esordio in prosa) sembra aver scritto in tempi recenti, quando invece si tratta di un manoscritto rimasto nel cassetto per diverso tempo.
La vicenda tratta di una lunga ricerca del proprio posto nel mondo. Suona strano ma ci si domanda perché per una donna, per una ragazza, questo percorso di realizzazione di se stessi debba essere più difficile rispetto a quello degli uomini. Protagonista di tutto è Fabiola, in fuga dai retaggi familiari alla ricerca di una vita più sua. Eppure questi retaggi ammaliano, perché le garantirebbero un ruolo all’interno di una determinata mentalità. A lungo andare la ragazza si accorge di trovarsi di fronte a due evidenti corni del dilemma, restare o partire. Il mezzo per riuscire a superare questo titanico bivio è l’illusione ma anche una buona dose di incoscienza.
In generale, un cammino di ricerca come questo, si è già detto, non è facile di suo, solo che per Fabiola esso è costellato da una serie di pregiudizi, di stereotipi. Non è un romanzo, questo, preposto alla denuncia del patriarcato, ma di sicuro vuole testimoniare quanto siano ancora incistate nell’immaginario comune certi dogmi partoriti da questo anacronistico prontuario di leggi non scritte.
Per cercare di non farsi sopraffare dagli eventi, nel corso del suo viaggio Fabiola cerca nel suo #oggi_narrativo quegli aspetti imprescindibili delle sue radici, quei ricordi così pregnanti della sua infanzia/adolescenza che le possano infonderle serenità.
Un sorriso, un profumo, uno sguardo, un ambiente possono essere il tramite di tutto questo. Non voglio scomodare Proust, ma in qualche modo Proust c’entra in una dimensione però molto più moderna.
Sembra che questa serenità sia quel #plus che permetta di passare attraverso le forche caudine della quotidianità, di assorbire quelle contraddizioni che impongono le situazioni impellenti di questa vita che si sta cercando, che però è ancora #altra. In che maniera, quindi, si #esiste? La risposta potrebbe sorprendere…
Autobiografismo? Chiederselo è pleonastico, ma di sicuro la circostanza contingente dell’autrice che abbandona il sicuro promontorio della poesia per affidarsi agli incerti marosi della prosa può leggersi come una sorta di metafora tra le righe di questo romanzo.
Al di là dei sottotesti, “Quell’odore di resina” è una storia da leggere come un esempio di contemporaneità, ma senza l’utilizzo di filtri didascalici che avrebbero appesantito ed annoiato la lettura del volume.
Enrico Redaelli – RADIOBLABLANETWORK NEWS