Immaginate di ricevere l’incarico di intrecciare un numero imprecisato di mazzolini di fiori di campo e immaginate anche che un’incombenza di questo genere possa essere di vostro gradimento.
Man mano che li finite, li dovete depositare sull’ampia superficie di un tavolo.
Quale sarà il risultato finale? Non ci sarà un mazzolino uguale all’altro né per il modo in cui è stato intrecciato, né per i colori che sono in esso contenuti. Anche cromaticamente parlando, l’insieme presenterà sfumature originali, magari stravaganti, ma comunque non banali
Questa è la fotografia mentale che mi sono fatto mentre scorrevo le pagine di “Padri”, romanzo che presenta una prosa che ha sì il sapore del flusso di coscienza ma ha anche altri ingredienti quali ad esempio la punteggiatura, che a tratti determina se non addirittura comanda la struttura di certe parti del plot, mentre in altri frangenti è condizionata da aspetti relativi alla trama, al discorso diretto e anche a quello indiretto. Gli echi possono essere quelli di Saramago e di Haruf, quantunque gli esiti su cui approda Tribuiani siano totalmente differenti. L’io narrante è cangiante perché spesso lascia il posto ai protagonisti della trama. Ne viene fuori un periodare che può ricordare lo stile utilizzato da Jaume Cabré in “Io confesso”, dove la prospettiva e l’angolazione cambiano mentre la frase è in corso. Ma Tribuiani si discosta da tutto questo, tagliando traguardi che sono suoi, senza essere troppo debitrice nei confronti della tradizione o di autori più recenti.
E poi bisogna dare atto che la scrittrice affronta con coraggio il tema delle seconde occasioni, quando nella società di oggi, se hai perso un’occasione non ti sono quasi mai concesse prove d’appello. Oscar si ritrova nella per lui inedita veste di essere allo stesso tempo genitore e figlio trascurando (forse sì, forse no) il suo ruolo di marito. Non dico altro. Internet svela già troppo sulla trama e io non voglio contribuire più di quello che devo.
Dico solo che, chi vuole affrontare la lettura di “Padri”, si accorgerà che la storia pretende attenzione costante, riga per riga, pagina per pagina, capitolo per capitolo. Suggerisco anche di notare la particolare cura di Tribuiani nella scelta specifica dei vocaboli. Come dire che la bellezza di un libro non nasce per caso, ma da un lavoro certosino, da sensibilità, da continue revisioni…
Si capisce perché all’inizio ho parlato di mazzolini di fiori?
Enrico Redaelli – RADIOBLABLANETWORK NEWS