Sono molte le cose da dire su questo libro e tutte bellissime.

Volendo realizzare uno scritto su tutto l’universo che gravitava intorno alla figura di Andy Warhol, sarebbe stato forse più facile creare un libro-inchiesta dove venissero inseriti tutti i dati raccolti nella fase documentativa e dove alla fine si tirassero le conclusioni.

Busato ha scelto invece una strada diversa che a mio parere le ha permesso di raggiungere un risultato decisamente molto più coinvolgente. Sulla base degli elementi che ha messo insieme nella sua indagine, ha deciso di creare un romanzo nel quale a una voce narrante (interna al contesto) venisse affidato il compito di narrare fatti e retroscena di un’epoca controversa dove il centro di tutto era rappresentato appunto da Warhol.

Un altro aspetto che bisogna tenere presente a priori è il fatto che all’interno della famosa Factory, vigesse una legge non scritta che non permetteva alle warholettes di gestire se stesse autonomamente. Se si pensa, anche tutta la letteratura che ha avuto come tema principale il personaggio di Warhol tendeva a dirigere tutta la luce della narrazione sul pop artist e molto meno sulle donne che entravano nella sua squadra.

Il romanzo di Busato ruota quindi su tre figure quali Ultra Violet (l’io narrante, al secolo Isabelle Collin Dufresne), Edie Sedgwick (la cui immagine è ritratta in copertina) e Valerie Solanas. Si tratta di tre donne molto diverse tra loro, per carattere per indole e per propensione all’arte. Altre ragazze sono citate all’interno delle pagine (Nico, Viva, per dirne solo alcune) ma sicuramente queste tre figure sono emblematiche per capire meglio quel contesto. Il libro di Busato assume quindi le caratteristiche di una sorta di memoriale autobiografico di quegli anni ‘ruggenti’ con l’aggiunta di particolari corollari. Soprattutto accompagna chi legge in tutta una serie labirintica di situazioni che permette di capire come mai l’arte stava prendendo quella strada a dir poco stravagante.

Il collettivo artistico messo in piedi dal nostro Andy ha visto l’avvicendarsi di molte parabole che talvolta sembravano più simili a meteore. Figure che oggi venivano osannate e che domani sarebbero velocemente cadute in disgrazia. A questo punto è d’obbligo una domanda a dir poco retorica: Warhol pigmalione o marpione ‘sui generis’?

“Factory girl” risulta quindi apprezzabile per il lavoro monumentale organizzato a monte della scrittura. Dopodiché, colpisce perché se da un lato è un prodotto ‘fiction’ -Dufresne non ha mai scritto resoconti sulla sua esperienza artistica con Warhol- dall’altro mette in evidenza quegli episodi dietro le quinte che altrimenti rimarrebbero dimenticati. E inoltre permette di riflettere in modo più ampio su un periodo dipinto spesso come qualcosa di epocale non solo per l’arte ma anche per il costume.

Enrico Redaelli – RADIOBLABLANETWORK NEWS